IL VERO SAPERE. DI VINCENZO ACUNTO

Il filosofo greco Socrate

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diceva che “il vero sapere è sapere di non sapere” considerato che il senso del termine è legato alla conoscenza incontrovertibile di un qualcosa. Si consideri che questa citazione è stata resa circa tremila anni fa (in epoca ante Cristo) e sembra opportuno
chiedersi se, “nell’enclave” dei pensatori ai quali vengono affidate le sorti dei popoli, la considerazione socratiana è in qualche modo ancora avvertita o la supponenza dell’ignoranza e del malaffare ha preso definitivamente sopravvento. Chi mi segue sa che da anni rilevo, in ordine al ruolo
dell’informazione, che la stessa ha assunto più il compito dell’imbonitore che quello di informatore del popolo e, senza andare troppo indietro, ho più volte scritto [“considerato che l’informazione, in gran parte, è sviluppata da interessi imprenditoriali privati: “chi non ritiene che
andrebbero approfonditi i meccanismi che sono alla base dell’acquisizione e della diffusione della notizia?”] In un articolo su “Il giornale” di qualche mese fa (sul tema dell’auto elettrica) il prof. Pierluigi del Viscovo,

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accademico alla Luiss, dopo aver illustrato, con dati numerici, che, all’attualità, le auto a combustione termica emettono l’ 1% del CO2 mondiale e che i biocarburanti (da materie prime e di scarto) sono una realtà industriale di cui l’italiana Eni già assicura in 150 stazioni di rifornimento, ci dice [“la domanda da porsi è sapere come si è gonfiata
la bolla sull’elettrico? L’industria tedesca aveva puntato sull’economia cinese, dopo che quella americana le aveva chiuso le porte per la vicenda del diesel-gate (ndr il lettore ricorderà il taroccamento delle centraline delle auto tedesche che segnalavano meno emissioni). La finanza ha
pressato verso il green, interessata più alla vendibilità dei titoli di borsa che a quella delle macchine. Per la politica si può pensare che vada naturalmente dietro alla piazza sebbene dovrebbe guidarla, se avesse leadership. Si può pensare male ma è un altro capitolo. Manca solo
un tassello: dov’erano i giornalisti? Tutti a fare propaganda e nessuno a cercare i fatti. Eppure le fonti erano disponibili, era facile scoprire l’inutilità di questa crociata. Volevano cambiare il mondo invece di raccontarlo”]. Fin qui il prof. del Viscovo, il quale oltre ad informarci che (grazie alla nuova leadership italiana-piaccia o no) talune assurde campagne interessate sono state attenzionate e rallentate, confermando alcuni miei concetti, mi offre l’opportunità di approfondirne altri. Come ad esempio quelli relativi agli eventi che avvolgono la società civile che è diventata rara attività di indagine di chi esercita il nobile e insidioso mestiere del giornalista. Chi, in Italia, oggi, potrebbe paragonarsi a grandi giornalisti del passato come gli americani Woodward e Bernstein, che oltre 40 anni fa costrinsero il presidente degli Stati Uniti alle dimissioni, o ai nostri indimenticabili Montanelli e Biagi? Non vedo aquile alla ricerca di notizie, ma di sole prebende! Tutti aspiranti ad essere anchorman televisivi! E così ci troviamo, dopo tanti anni, in una società ingestibile
aggrovigliata da tante (troppe) regole frutto di compromessi scritti da incompetenti su spinte lobbistiche sempre più organizzate. Ecco che torna un altro mio dolente refrain: “la competenza” a gestire la cosa pubblica. Non la si compra al supermercato, né te la consegnano gli elettori. La
si acquista in un percorso di vita e di attività che un tempo era filtrata dai partiti (prima che fossero spazzati via dall’onda giustizialista di qualche decennio fa). Essi si ponevano tra la carica istituzionale e l’elettore, considerato che le norme vigenti ponevano e pongono come unica condizione, per accedere a cariche elettive, il superamento della “prova di alfabetismo”. Le organizzazioni partitiche filtravano i candidati prima di dirottarli alla gestione della cosa pubblica. All’epoca mancavano le lobbies affaristiche, mancava internet e mancava l’Europa come entità politica. Era sicuramente una società diversa nella quale, dai piccoli comuni al parlamento, persone in numero limitato si proponevano per amministrare la cosa pubblica e le stesse erano “filtrate” dai partiti. Esistevano alcune norme molto chiare del codice penale che, senza fraintendimenti, punivano
l’incaricato di una pubblica funzione sia se percepiva un interesse privato proprio sia che malversasse il cittadino. Gli articoli 324 “interessi privati in atti di ufficio”, e 315 “malversazione a danno di privati”, costituivano un deterrente efficace che consentiva ai giudici, senza incertezze, di poter operare. Entrambe le norme, con la legge dell’aprile 1990

premier Andreotti, -foto 2-

Vice Martelli, -foto 3-

ministro della giustizia Vassalli -foto 4-)

vennero abolite e oggi, sull’onda di una distorta propaganda, secondo la quale gli amministratori rallentano l’attività istituzionale per paura di pubblici ministeri impiccioni, è stato abolito anche il reato di abuso di ufficio. Eludendo scientemente che, a seguito della cosiddetta legge Bassanini, sono i funzionari a gestire la cosa pubblica e non tanto il politico. Il reato di abuso di ufficio è stato caricato di tante ipotesi di violazioni amministrative farraginose, con costante richiamo ad esso, richiede tempo e preparazione che tanti magistrati non hanno, né si vogliono applicare. Incombendo eventi di maggiore tensione e rilievo sociale, optano per l’archiviazione che, oltre un primo reclamo, resta provvedimento non impugnabile. Nei fatti, però, succede che se c’è qualche possibilità di ribalta e qualche mezzo di informazione disponibile, la “notizia” si esaspera, qualche amministratore viene arrestato (con una scenografia che manco nei cinematografi è migliore), carriere e vite distrutte, consigli comunali che si sciolgono (per quel particolare sistema partorito alla fine degli anni 90) e, man mano salendo, si mandano a casa ministri o addirittura governi interi. Chi non ritiene, alla luce di tanti fatti che la cronaca ci consegna, che le abrogate norme -315 e 324 del codice penale- fossero più efficaci di quelle che oggi dovrebbero sanzionare l’azione del pubblico amministratore? La statistica dice che, oggi, solo il 2% di amministratori rinviati a giudizio, per il reato di abuso di ufficio, viene poi ritenuto colpevole.  E allora, considerato che ogni evento si determina per la partecipazione dell’uomo, chi non ritiene che l’informazione prima di occuparsi dell’effetto dovrebbe occuparsi della causa? Approfondendo e verificando ogni aspetto che riguarda la cosa pubblica a incominciare dai tanti, troppi, candidati che affollano le liste di una semplice consultazione municipale locale? Faccio un esempio: ad Ischia qualche anno fa abbiamo assistito alla presentazione di ben sette liste a sostegno del candidato sindaco di una parte ed una sola lista dall’altra, che non ha raggiunto nemmeno il quorum per il seggio. È stato un procedimento elettorale normale o che, forse, andava attenzionato come rilevava un acuto osservatore locale? Nessuno se ne è fregato! Così poi è successo a Forio e a Casamicciola (ove, tanto per ricordare, per l’abbandono decennale del territorio, lasciato nelle mani di incompetenti, sono stati registrati 12 morti e oggi ha oltre 300 sfollati). Chi non ritiene che sarebbe cosa buona che i media seguissero le vicende non solo per pubblicare (a pagamento) i volti e le interviste dei candidati, aspiranti consiglieri o onorevoli, ma anche per illustrare chi essi sono, che preparazione hanno, che cosa hanno fatto o fanno nella vita, allo scopo di renderli attenzionabili prima e non dopo?  Non si pensa affatto di stravolgere la costituzione ma di tenere bene attenzionate tutte quelle condizioni che già il cosiddetto “intuitu personae” e verifica relativa potrebbe far esaltare.

Io penso che andrebbe rivista la commissione elettorale mandamentale che ha il compito di ammettere persone e liste al procedimento elettorale, affidandole in mani esperte e non di parenti di consiglieri comunali. Andrebbe attenzionata anche la Corte di Appello – sezione elettorale -sulla scelta dei presidenti di seggio che dovranno dirigere il procedimento elettorale (l’esperienza di Lacco Ameno di qualche anno fa fu eclatante).  Credo che è sempre bene sapere prima ciò che non si sa o che in parte già si sa che potrà provocare guasti enormi. I nostri paesi non possono più essere affidati a parvenu che, si diceva un tempo, “hanno persino difficoltà a distinguere la pretura dalla prefettura o una ordinanza da una delibera”. La gestione della cosa pubblica è un affare talmente serio che la scelta delle persone incaricate resta un elemento fondamentale, se non vogliamo continuare a scendere nel baratro. E solo applicando il principio socratiano che “il vero sapere è sapere di non sapere” potremo salvarci da futuri scenari sempre più brutti di quelli attuali che, per mancanza di uomini capaci e avveduti, sta portando il mondo sull’orlo di un disastro di una terza guerra mondiale, di movimenti inarrestabili di persone ove i morti e i disperati stanno superando quelli che riescono a salvarsi barcamenandosi nella vita quotidiana in un pianeta in cui c’è spazio e benessere per tutti. Solo che bisogna saperlo gestire.

acuntovi@libero.it

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