RACCONTI SOTTO L’OMBRELLONE: “GINOTTO E VINCENZO ALLE PRESE CON DIAGNOSTICHE IMBARAZZANTI” DI VINCENZO ACUNTO

I protagonisti

“Luigi (detto Ginotto per essere l’ottavo figlio di una famiglia numerosa) a metà degli anni 60, da Succhivo d’Ischia, emigrò in Germania alla ricerca di fortuna. Era solito far ritorno al paese d’origine almeno tre, quattro volte l’anno, non riuscendo a star troppo lontano dal profumo degli aranceti succhivesi. Nei ritorni a casa amava trascorrere le sue serate con gli amici (vecchi e giovani) tra la fontanina della “piazza del paese” e qualche “cena in cantina”, finendo sempre col fare paragoni tra il suo paese d’origine e quello teutonico di adozione, rilevando le notevoli discrasie tra i due. Ginotto era un uomo franco, di una simpatia debordante, senza peli sulla lingua, un po’ guascone, con un fisico possente e il sorriso sempre presente sul suo volto. Per la sua avvenenza fisica e simpatia, non aveva avuto particolari problemi con le ragazze e le signore teutoniche, che agli albori degli anni 60 andavano in vacanza sull’isola d’Ischia, trovavano in lui quel maschio latino (garbato e possente) che, senza pretese, le mandava in visibilio. Tra le tante, una in particolare era rimasta colpita dal fascino ruspante e garbato del maschio succhivese. Un medico donna (una novità per l’epoca visto che sull’isola i “medici” erano tutti uomini), particolarmente avvenente e senza pregiudizi di sorta, gli si presentò dicendogli “Ich bin Ursula Gunderlacht. Ginakologe”. Ginotto oltre il nome “Ursula” null’altro aveva compreso e dopo i convenevoli di rito e qualche galanteria da passeggio, il linguaggio universale dell’amore completò ogni diseguaglianza sociale che, arricchita con qualche galanteria accessoria (una cena in cantina o un giro in barca), segnò la bella vacanza ischitana della dottoressa fino a quando partì. Le emozioni che Ginotto le aveva regalato erano state, evidentemente intense e, rientrata in patria, incominciò a scrivergli  lettere lunghissime (visto che i telefoni a Succhivo erano ancora una rarità) che si faceva tradurre da un amico, portiere d’albergo, che aveva dimestichezza con la lingua tedesca. L’estate finì, le lusinghe e gli inviti della dottoressa continuavano (anche con proposte di lavoro) e Ginotto, vinto dalla curiosità e dalle astinenze locali, partì per la Germania recandosi all’indirizzo che Ursula gli aveva dato e, solo allora, capì che era un medico.

II. gli sviluppi dell’amicizia e nuove conoscenze

Nella sala di attesa Ginotto notò che c’erano solo donne, che non gli destarono curiosità particolari visto che anche ad Ischia erano in prevalenza le donne ad andare dal “dottore” per ottenere una ricetta per i medicinali necessari. Ginotto non aveva ancora capito che la specializzazione della dottoressa Gunterlacht, benchè ella si sforzasse per farglielo capire, era quella di seguire le donne in gravidanza. Tanto che per “tagliare la testa al toro” il giorno successivo la dottoressa pensò, anche per affrancarsi con Ginotto da una notte di passione, di portarlo con sé in ospedale a visitare le sue pazienti. Calzarono entrambi il camice bianco e andarono in corsia, nell’incredulità di Ginotto che continuava a non capire visto che nei letti vi erano solo donne. Al comando “komm mit mir” Ginotto, con il camice bianco tipo medico, seguì la dottoressa e mentre lei conversava con le pazienti lui, con espressione compìta, dispensava il suo sorriso rassicurante alle partorienti, rendendole gaie essendo stato presentato come “my junger kollege”. Avendo la dottoressa compreso che Ginotto non s’era reso conto dove si trovava e che visite stesse effettuando, con notevole sadismo teutonico, giunta vicino il letto di una paziente particolarmente avvenente, dopo aver parlato con la degente, alzò le lenzuola che la coprivano “per fare la visita” e scoprì le parti intime in modo che fossero visibili anche a Ginotto e rivolgendosi a lui disse “was denkst du?” (che pensi?). Ginotto rosso come mai gli era capitato in vita sua, ingoiò più volte e, non sapendo dire altro, disse “Ja – Ja gut, gut”. La premeditazione della dottoressa ebbe il suo naturale epilogo al rientro nello studio privato ove chiuse le porte e Ginotto, ancora in estasi per la “naturale cinematografia erotica”, si disobbligò per un bel po’ di minuti.

III nuova vita di Ginotto

 Quell’accoglienza strabiliante determinò Ginotto a trasferirsi in Germania ove la dottoressa gli aveva procurato anche un lavoro in una fabbrica con una paga di gran lunga superiore rispetto a quella che poteva raggranellare a Succhivo. Per cui, rientrato al paese e comunicò ai genitori la sua decisione e parti convinto di fare l’emigrante. Si ambientò presto, imparò la lingua e quando l’avventura con la dottoressa (che non era per nulla gelosa del suo maschio che presentava con piacere alle amiche) finì e la vita ebbe il suo corso naturale, Ginotto prese moglie e mise su famiglia. Continuando nelle sue scorribande amorose di cui poi amava raccontare agli amici nei suoi ritorni a Succhivo. La simpatia che Ginotto emanava era forte, come pure la tentazione di ascoltare le sue guasconate. Bastava una domandina che egli partiva, raccontando spesso gli stessi fatti, anno dopo anno e per tanti anni.

Infatti, nel paese di nascita s’era diffusa l’abitudine che quando Ginotto tornava, gli amici si radunavano con lui per ascoltare le sue guasconate e le differenze di vita. L’inclemenza della ruota della vita fece sì che anche a Ginotto si manifestassero i primi acciacchi e l’esigenza di “fare qualche tagliando fisico”. Ad uno dei suoi ritorni a Succhivo, Vincenzo (uno degli amici della cricca), come al solito, gli chiese: “Ginò come va, ci sono state donne nuove?” e lui, con espressione mesta, gli rispose “non più come una volta, gli anni passano per tutti e poi da un po’ di tempo la notte devo andare spesso in bagno. Perdo il sonno mi innervosisco e, “sai komm’è chill’. Nun vò pensieri”. Per rassicurarlo Vincenzo gli dice “Ginò forse devi fare qualche controllo da qualche medico”. Ginotto sgranò gli occhi e disse “Nun me fa parlà aggìa ‘avuta fa na visit’ a prostàta”. Vincenzo replicò “Ginò non è na crostata ma una ghiandola la prostata” ripetendogli correttamente la parola senza gli accenti. Ginotto “vabbuò comm’ si dic’ dic’ bast’ ch’e cacapit”.

IV l’esperienza sanitaria teutonica

Ginotto stimolato da Vincenzo (che per età non era molto distante dall’amico) attaccò “vuoi sapé che m’è succies?” e, senza aspettare nessun consenso proseguì: “Il mio medico mi consigliò di andare dall’urologo dicendomi soltanto, lui ti spiegherà il problema e quello che bisogna fare”. Io non sapendo né chi fosse l’urologo o cosa facesse, andai e trovai una dottoressa. Nu piezz’ e femmena sui 40 anni ma proprio bbona”. Francesco, altro amico presente, incalzò “Ginò si semp’ u solit’ furtunat’, si ghiut’ e luss’ “. E Ginotto “Zitt’ Franchì, (ndr rise con tutti i suoi denti in vista) io nun sapev che tip visit’ m’aveva ffa e a dottoressa mi chiese se io sapessi in cosa consistesse”. Un poco intimorito dissi “no nun sacc’ nient” ed ella, mi spiegò cosa era la prostata e come si svolgeva la visita”. E Franchino ancor più sfottente “Ginò tu subbeto ti si apparat’”. E Ginotto “macchè io gli dissi subbet’ – dottorè nun se po’ ffa. A me il dito in culo nessuno lo ha mai messo. Al massimo, proprio perché siete donna e non vi posso dire no, vi consento na’ guardata”. Una risata fragorosa scoppiò tra i presenti che coprì il racconto di Ginotto che si bloccò. Vincenzo (che serioso appariva interessato) per ridare senso al racconto che con gravità Ginotto aveva fatto, gli chiese “ma poi com’è andata a finire?”. Risposta “mi son dovuto far capace. Io la notte non ne potevo più e allora un poco alla volta mi sono abituato”. Poi prese sottobraccio Vincenzo e allontanandolo dal gruppo (visto che s’era accorto che era l’unico ad averlo seguito), con espressione grave, gli disse “la cosa importante è trovare un medico che abbia mani piccole, piccole. Tu si omm cumm’a mme e ricordatelo ca… primm’ o poi…te tocca”.

IV le peripezie di Vincenzo

Il racconto di Ginotto destò impressione in Vincenzo sia per l’invasività del controllo medico che per il consiglio. Superati i 50 anni, quando il medico di base disse a Vincenzo di fare un controllo prostatico, ricordando l’esperienza di Ginotto entrò in panico e incominciò a chiedere a qualche amico, più grande d’età, come si erano regolati. Al di là dell’incoraggiamento e della solita frase “è solo l’impressione della prima volta, poi tutto sarà facile”, Vincenzo notava che le espressioni degli amici erano sempre condite di compatita commiserazione. Uno in particolare gli disse “ho risolto tutti i problemi da quando ho conosciuto il dr. Scannapieco.” Vincenzo non lo conosceva e al solo nome, evocante una cruenza fisica, sobbalzò, ma l’amico fu pronto a dirgli “non ti preoccupare, è una persona gentilissima e poi, cosa importante, ha una mano piccolissima, dita sottilissime e una velocità di esecuzione unica. Un lampo che nemmeno te ne accorgi. Io ne ho cambiati parecchi ma come lui non c’è nessuno”. La cosa incoraggiò Vincenzo che fece di tutto per conoscere il medico. In una circostanza fortuita gli fu presentato il dr. Scannapieco (uomo gentile, dal carattere mite e affabile) e Vincenzo subito ne approfittò per stringergli la mano che trattenne nella sua; come a fargli una radiografia della struttura dell’arto. Poté constatare che, in effetti, il medico aveva una “mano da bambola”, un comportamento di alta professionalità e che immediatamente lo mise a suo agio. Tanto che Vincenzo ne approfittò per farsi dare un appuntamento. Nonostante le buone premesse si presentò all’appuntamento invaso di quella viltà tipica che assorbe ogni maschio in tali occasioni. Viltà che cercò di metabolizzare nella penitente attesa presso il centro ove il dr. Scannapieco riceveva i pazienti, ove con il passare dei minuti gli astanti aumentavano. Segno evidente delle sue riconosciute capacità. In quello stabile si effettuano più indagini mediche come la ecografia prostatica, la flussometria urinaria ed altre. I pazienti, come poi Vincenzo apprese, pur senza parlare tra di loro, comprendevano il tipo di visita che ciascuno doveva fare a seconda della bottiglia d’acqua che portava con sé.  Senza bottiglia, visita prostatica, bottiglia da un litro ecografia prostatica, bottiglia da due litri flussometria urinaria.

V l’attesa per la vista

Come spesso accade, nelle condizioni di stress o di ansia si inseriscono, per incanto, fatti strani e comici che, secondo il punto di vista, attenuano o irrigidiscono la tensione dell’attesa. Era un sabato mattina il giorno in cui il dr. Scannapieco aveva fissato l’appuntamento a Vincenzo che si presentò nella saletta di attesa con un amico al seguito (già edotto) che tentava di infondergli coraggio. Mentre era seduto col capo chino ed espressione mesta, compare sulla porta un signore alto con una corporatura massiccia, direi “uralica”, che si accentuava ancor di più per avere delle sopracciglia folte e lunghe alla Breznev. Vincenzo, pur non conoscendolo, sapeva che era di Forio e che si chiamava Peppe. Non aveva con lui rapporti di frequentazione pur essendo persona di grande simpatia e verbosità. Gli si sedette di fronte e, rendendosi conto dello stato di disagio del suo dirimpettaio, dopo aver fatto un ennesimo sorso d’acqua, rivolgendosi a Vincenzo che non lo destava attenzione, gli dice “Vicenzì pur tu stai ccà. Primme o poie tutt’quant’, ca’ amma venì”.  Vincenzo con poco fiato, ricordando Ginotto, replicò “Che vuoi fare, purtroppo mi tocca” e chiese “anche tu dal dr. Scannapieco?” – “No, no” disse Peppe, aggiungendo “chi va da Scannapieco nun ten’ ‘a buttigli’ comm’ a te”; “chi va a fare l’ecografia ten’a buttigli e nu’ litr’ e chi, comm’a me, addà fa a flussometria adda vev’ assaie e ten’ a butteglia gross”. Poi, leggendo sul volto di Vincenzo lo stato d’ansia, per rassicurarlo aggiunse “nun te preoccupa ‘u dottor’ Scannapiec’ nun te fa sentì nient’ e comm’a na scoss’elettrica” e mostrando il dito medio spiegato dice “nfil e sfil ca manc’ te n’accuorgi’”. Vincenzo prende respiro profondo e s’accorge che sull’uscio entra un’altra persona che, oltre a manifestare un atteggiamento nervoso, ha un chiaro atteggiamento gay sia nel portamento che nell’abbigliamento avendo le unghie laccate ed una leggera ombratura sulle palpebre. Si dirige con passo corto e ticchettante all’accettazione e con voce che non lasciava spazio ad altre incertezze di genere, chiede “il dottore Scannapieco sta ricevendo?”. Nel passaggio che fa davanti a quelli in attesa, Peppe cerca di attirare l’attenzione di Vincenzo che, destatosi, nota che il suo dirimpettaio ha la fronte aggrottata e si strofina un dito sull’orecchio destro. Era un gesto volgare (divenuto, grazie a Dio, desueto) che negli anni 70 si usava per indicare una persona di genere sessuale incerto. Dopodiché Peppe, che aveva un sorriso contagioso, volendo dimostrare che conosceva il nuovo arrivato, gli chiese “Ne Francolì pur’ tu stai cca”. Francolino al quale, evidentemente, non era sfuggito il gesto del dito, gli risponde stizzito “ne pecchè ce puot’ venì sul’ tu?”. E Peppe “no aggi’ chiest’accussi te vec’ nu poc’ agitat. Nun te preoccupa’ ”. E l’altro “Fatti miei e tu fatti i tuoi” e, dicendo ciò, fece una mezza giravolta su sé stesso, sedendosi vicino a Vincenzo. Poggiava appena il sedere sulla sedia, con le gambe strette e il piede destro che nervosamente tamburellava per terra. Il che rendeva ancor più nervoso Vincenzo. Quando la porta della stanza del medico si aprì lasciando passare i tipici convenevoli di saluto, Francolino si rivolge a Vincenzo e chiede “deve entrare lei?”. Vincenzo col capo fa cenno di sì e l’altro di rimando “può essere così gentile di farmi passare avanti, io devo solo dire una parola al dottore ‘e tengo mammà malata”. Vincenzo vivendo la tensione della prima volta, non oppose diniego e concesse volentieri la precedenza.

VI Prolungamento dell’attesa

Chiusasi la porta alle spalle di Francolino, Peppe non perse tempo per dire di lui e delle sue divagazioni di genere alle quali Vincenzo non dava risposte limitandosi ad invitare Peppe a non eccedere in quanto ci poteva essere una reazione anche violenta, visto lo stato tensivo di Francolino. Dopo pochi attimi la porta del medico si riapre ed esce Francolino sorridente che ringrazia Vincenzo per la precedenza. Mentre Vincenzo sta recuperando le sue cose in attesa del via libera, sente che Peppe, con il suo vocione trombonico, dice “Francolì e fatt’ subbeto subbeto. Se vel’ ca a via er’ già apert’. Viat’a te né ca nun ‘e sentut’ nient’ “. Francolino reagisce d’impeto “il solito cafone maleducato. A prossima vot’ si te trov’ cca me ne vac nata vot’’”. Peppe sghignazza e Vincenzo comprende che è il momento di intervenire per sedare una possibile rissa, si rivolge a Peppe “ma tu quando entri per la flussometria?”. Francolino non perde l’attimo e di rimando “che ce va a ffa. Oramai se nfonn sul’ e scarp”. Vincenzo comprende che è una giornata particolare ed entra dal medico e sudando per l’ansia risponde come un automa alle domande del medico. La visita conferma tutte le aspettative delle descrizioni fattegli e la grande professionalità e umanità del professionista. Quando esce, madido di sudore ma risollevato, Peppe è ancora lì e gli dice “e vist’ Vicenzì era chiù u pensier ca ‘u fatt’”. Vincenzo è finalmente sollevato e tra sé e sé dice “grazie a Dio è finita”.” 

Dalla raccolta dei “racconti sotto l’ombrellone” di Vincenzo Acunto

per concessione dell’autore si pubblica

acuntovi@libero.it

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