PORTO NAPOLI. 67 ANNI FA, L’INCENDIO SULLA NAVE “ANNAMARIA IEVOLI” COSTO’ LA VITA AL PROCIDANO CARLO CACCIUTTOLO

Il 21 novembre 1957 a causa di un guasto alle caldaie, la motonave Annamaria Ievoli scoppiò nel porto di Napoli. Nel disastro persero la vita operai della ditta” Orlando “, marittimi di Procida, di Torre del Greco e di Castellammare. Ci furono 11 morti e 70 feriti. Procida, anche in questa dolorosa circostanza diede il suo contributo di sangue alla marineria italiana con la morte del caporale di macchina Carlo Cacciuttolo di appena 33 anni. Diversi furono i feriti gravi isolani, tra cui Antonio Lubrano Lavadera, Vincenzo Impagliazzo, Cosimo Cassinese, Francesco Lauro, Mario Laurici, Pasquale Gentile e Americo Sabia. Quando Carlo arrivò a Procida non rimase nessuno nelle proprie case. Stavano tutti giù al porto. Una moltitudine di procidani che dalla Chiesa della Pietà arrivavano fino al cinema in fondo.

Oggi grazie ad un post di Giuseppe Giaquinto ricordiamo il triste evento con la testimonianza del dott. Giacomo Retaggio:

“All’epoca avevo venti anni e frequentavo il secondo anno di Medicina presso l’Università di Napoli. Ricordo che ero in “Sala Anatomica, presso gli istituti di Santa Patrizia in via del Sole del vecchio Policlinico. Eravamo tutti giovani e ci facevano imparare l’anatomia umana sezionando cadaveri. Non arricciate il naso! All’epoca così si usava: i professori dicevano che per imparare ci dovevamo sporcare le mani. E noi, tutti giovani di venti anni ce le sporcavamo! Fuori il portone dell’istituto, ai lati erano affisse due lapidi di marmo. Una diceva: “OPTIMI CONSULTORES MOTUI” (I morti sono i migliori maestri) ed un’altra su cui era scritto: “HIC MORS GAUDET SUCCURREE VITAE”(Qui la morte gode nel soccorrere la vita). Era una mattinata come le altre. Noi eravamo chini sui tavoli settori. Ad un tratto sentimmo una botta violenta. Tremarono i vetri delle ampie finestre. Un rumore di sottofondo si protrasse. Nessuno di noi ci fece caso. Poteva essere scoppiato qualche serbatoio o qualcosa altro. Solo il bidello della sala anatomica, un signore simpaticissimo, già avanti negli anni, di nome Carbone, esclamò: ” E che è? È turnata ‘a guerra?” e tutto finì lì. Solo dopo, nel pomeriggio inoltrato, al Beverello mi resi conto della tragedia. Al porto c’era una gran confusione. Si facevano i nomi dei morti: non si sapeva con esattezza quanti fossero: si parlava di molti feriti. Riuscii ad arrivare a Procida. C’era un’atmosfera di lutto, di una tragedia. Nessuno si voleva sbilanciare sul nome dei morti: ognuno sperava in un miracolo. Poi cominciarono ad arrivare delle notizie certe. Di sicuro era morto Carlo Cacciuttolo, un giovane di una trentina d’anni. Me lo ricordai subito. Era un simpaticone ed una decina di sere prima eravamo seduti vicini nel palco del cinema Moderno. Aveva comprato un cartoccio di nocelline americane e me le offrì dicendo: “Mangia, guagliò!” Per tutta la durata del film mangiammo nocelline. Facemmo un tappeto di bucce sul pavimento. All’epoca così si usava. Sapendo che era morto ebbi un moto violento di rabbia. In quei tempi per me la morte era inconcepibile. Poi vennero fuori i nomi dei feriti: Antonio Lubrano Lavadera, Vincenzo Impagliazzo, Cosimo Cassinese, Francesco Lauro, Mario Laurici, Pasquale Gentile, Americo Sabia. Uomini segnati per tutta la vita. Dopo anni, quando mi ero già laureato ed esercitavo, parecchi di loro li ebbi come pazienti. Mi si stringeva il cuore a vederli. alcuni zoppicavano, come conseguenza delle ferite, altri soffrivano di crisi epilettiche, altri ancora presentavano crisi di panico e vuoti di memoria. Vite rovinate! Nel fisico e nella psiche! Sono passati sessantasette anni da quel giorno. Quasi nessuno se ne ricorda più. Tutto scorre e questo è il dramma del nostro esistere. Ma vi prego, amici che mi leggete, ricordiamo questi nomi. Non sono eroi! Sono gente comune che ci ha rimesso la vita per vivere onestamente. Una preghiera!”

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