A CURA DI MARCO LARASPATA- Recentemente la Cassazione ha ritenuto di dovere condannare un Istituto di credito a rifondere i danni causati ad una società sua correntista in seguito ad un’illegittima segnalazione di sofferenza alla Centrale Rischi della Banca d’Italia all’origine della quale si trovava un comportamento che la Suprema Corte ha ritenuto essere noncurante dell’effettiva situazione della Società querelante [1].
Nel caso da cui ha tratto origine la sentenza in esame il legale rappresentante di una società in accomandita semplice ed i suoi soci avevano adito il Tribunale civile chiedendo che l’Istituto di credito presso cui la società intratteneva un rapporto di conto corrente di corrispondenza fosse condannata al risarcimento dei danni che ritenevano fossero stati cagionati alla società da essi rappresentata in conseguenza di una duplice segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, segnalazione causata da una sofferenza complessiva il cui ammontare, pur essendo superiore alla giacenza in titoli di Stato vincolati presso l’Istituto e posti a garanzia delle linee di credito accordate alla società querelante, finiva comunque per essere inferiore alla somma accordata quale massimale di credito dall’Istituto alla società stessa.
La sentenza di primo grado aveva negato, sulla base della perizia tecnica d’ufficio, la responsabilità
della Banca e gli attori avevano quindi proposto appello. Il Collegio di secondo grado aveva
rigettato l’impugnazione ritenendo che la seconda delle due segnalazioni operate dall’Istituto di
credito alla Centrale Rischi della Banca d’Italia fosse legittima.
Tuttavia, in riferimento alla prima delle due segnalazioni, relativa a una sofferenza di Lire
522.000.000, la Corte di Appello ne aveva invece rilevato l’erroneità atteso che la Banca disponeva
di titoli pubblici di proprietà della parte debitrice, a garanzie delle linee di credito accordate,
alienati sì dall’Istituto per la somma di Lire 470.000.000 ma solo dopo l’avvenuta prima
segnalazione, con conseguente riduzione dello scoperto a Lire 50.000.000, somma oggetto della
seconda segnalazione.
Avverso tale pronuncia la società in accomandita semplice ed i suoi soci hanno successivamente
proposto ricorso per Cassazione, contestando il comportamento poco diligente della banca che
aveva provveduto tardivamente alla vendita dei titoli detenuti in pegno, così determinando la quasi
integralità dell’esposizione debitoria residua.
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L’Istituto di credito ha quindi depositato ricorso incidentale rilevando che, secondo le indicazione di
Banca d’Italia [2], sono da considerare ricomprese nel concetto di sofferenza le situazioni
d’insolvenza o equiparabili, indipendentemente dalle garanzie che le assistono e dalle previsioni di
perdita. Di conseguenza, sosteneva l’Istituto, per effettuare la segnalazione non vi sarebbe stato
bisogno di una condizione d’incapienza irrecuperabile ma sarebbe stata sufficiente la presunzione di
una situazione di grave difficoltà economica in capo al correntista.
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso incidentale proposto dall’Istituto di credito
inammissibile, rilevando che “l’affermata legittimità della seconda segnalazione contrasta
nettamente e risulta incompatibile sul piano logico con la opposta valutazione riferita alla prima”.
Secondo la Cassazione, infatti, tale valutazione trovava il proprio fondamento non su considerazioni
di fatto ma esclusivamente sulle conseguenze di un comportamento non diligente tenuto da parte
dell’Istituto di credito, Istituto che aveva provveduto alla vendita dei titoli in un momento
successivo alla prima segnalazione e proprio la mancata tempestività dell’operato della Banca
avrebbe poi determinato, quale diretta conseguenza, l’impedimento nell’accesso al credito
denunciata da parte del ricorrente quale conseguenza dell’improvvida segnalazione effettuata nei
confronti della Banca d’Italia.
Nella sua sentenza i Supremi Giudici hanno poi proseguito affermando che “la contraddittorietà tra
premessa e conclusione relativamente alla seconda segnalazione è insanabile, tanto più che la
Corte di Appello ha espressamente riconosciuto che la società debitrice aveva risposto ai solleciti
della banca dimostrando piena propensione al ripianamento mediante la vendita dei titoli”.
L’accoglimento del motivo di ricorso della società istante non è privo d’interesse in considerazione
del fatto che l’insussistenza di un “danno risarcibile”, desunta dalla Corte d’Appello, viene
riconosciuta derivare esclusivamente dalla legittimità della seconda segnalazione. Ne consegue che
l’illegittima o errata segnalazione dell’Istituto di credito alla Centrale dei Rischi ha costituito un
danno ingiustamente arrecato al cliente sotto diversi profili [3].
[1] Cass. sent. n. 23646/2014.
[2] Circolare della Banca D’Italia n. 139/1991
[3] Sul punto, giurisprudenza costante ha stabilito che la responsabilità della banca segnalante in
caso di comunicazione erronea alla Centrale dei Rischi sembra potersi ricondurre nell’ambito di una
responsabilità da false informazioni, in ordine alla quale è pacificamente riconosciuto il diritto al
risarcimento del danno (vedasi in proposito Suprema Corte di Cassazione, sentenza n. 12626/2008).
Non solo: con l’ordinanza del 19 febbraio 2001 il Tribunale di Milano ha configurato tale
responsabilità sia come extracontrattuale, ai sensi dell’articolo 2043 del Codice Civile, sia come
responsabilità contrattuale, per violazione di norme di comportamento esistenti tra banca ed utente,
a partire dagli artt. 1175, 1374, 1375 cod. civ.
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