DEMOLIZIONI. IL TAR SOSPENDE LO SGOMBERO DI UNA PALAZZINA A SAN GIORGIO A CREMANO SU INTERVENTO DELL’AVV. MOLINARO

Il t.a.r. Sospende lo sgombero di una palazzina a san giorgio a cremano abitata da tre famiglie con persone anziane, minori e disabili. Accolta al fotofinish l’istanza cautelare dell’avv, Lorenzo Bruno Molinaro. Intanto la camera dei deputati ha approvato un ordine del giorno teso a favorire il “social housing” quale causa di incompatibilità con le demolizioni.

È accaduto a San Giorgio a Cremano.

Il Comune aveva deliberato l’acquisizione di una palazzina al patrimonio comunale e, con successivo provvedimento, aveva disposto lo sgombero dell’immobile per poter procedere alla immissione in possesso.

Pochi giorni fa, lo stesso Comune aveva anche integrato la motivazione del provvedimento, intimando la consegna delle chiavi nel termine perentorio di giorni cinque, “principalmente per permettere la demolizione disposta dalla Procura della Repubblica di Napoli od in subordine per dare attuazione a quanto deliberato dal Consiglio Comunale di San Giorgio a Cremano per imprimere concretamente all’area in oggetto la prevista destinazione”.

Proposto dall’avvocato Bruno Molinaro, per gli abitanti della palazzina, tra cui persone anziane, minori e disabili, tempestivo ricorso, il T.A.R. ha sospeso, con decreto, l’ordine di sgombero, fissando per settembre la discussione della istanza cautelare in camera di consiglio.

Leggesi nel provvedimento adottato dal Presidente del T.A.R. A. Pappalardo che:

Le circostanze indicate nella ordinanza integrativa impugnata … non aggiungono elementi idonei a denotare peculiari ed indifferibili esigenze pubbliche, prevalenti su quelle di parte ricorrente, tanto più che la esigenza di procedere alla demolizione richiesta dalla Procura della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli è dallo stesso indicata come alternativa ancora irrisolta rispetto alla iniziale determinazione di conservazione dell’immobile con destinazione a fini pubblici.

In tale prospettiva, pertanto, persiste il pregiudizio di estrema gravità ed urgenza nello sgombero imminente, occorrendo approfondire nella opportuna sede collegiale le questioni circa la impugnativa della preordinata acquisizione e considerato che tale differimento non comporta un significativo pregiudizio per l’interesse pubblico azionato“.

Intanto, è di ieri l’altro la notizia che la Camera dei Deputati ha approvato un ordine del giorno, a firma dei Deputati Zinzi, Benvenuto, Bof, Montenagni e Pizzimenti, che impegna il Governo, “ai fini del rilancio delle politiche abitative, come risposta coerente ed efficace ai bisogni delle persone e della famiglia…a valutare l’opportunità di prevedere, in un prossimo provvedimento normativo, che parte dei beni e aree di sedime recuperati ai sensi del comma 5 dell’articolo 31 del DPR 380 del 2001 siano destinati all’edilizia residenziale pubblica ed edilizia sociale ed eventualmente anche inseriti nei programmi di valorizzazione immobiliare, per uso diverso da quello abitativo, per garantire attività produttive e livelli occupazionali“.

È una notizia indubbiamente importante, atteso che, nel dibattito politico e giurisprudenziale, da tempo è stato riconosciuto, sia pure con le dovute precisazioni in relazione agli effetti della acquisizione sulla demolizione giudiziale (c.d. RE.S.A.), che la destinazione di un immobile ad edilizia residenziale sociale è riconducibile ad una attività di natura pubblicistica, ricompresa nella nozione di “servizio pubblico locale rivolto alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali”, tale intendendosi, appunto, secondo il linguaggio dell’Unione europea (artt. 16 e 86 del Trattato FUE), un servizio di interesse economico generale che viene a svolgere una funzione essenziale nell’ambito della costituzione economica di tutti i Paesi membri, rivolto all’utenza e capace di soddisfare interessi collettivi, garantendo una redditività.

Il social housing si presenta, in buona sostanza, come una modalità d’intervento nella quale gli aspetti immobiliari vengono studiati in funzione dei contenuti sociali, offrendo una molteplicità di risposte per le diverse tipologie di bisogni (dove il contenuto sociale è prevalentemente rappresentato dall’accesso a una casa dignitosa per coloro che non riescono a sostenere i prezzi di mercato, ma anche da una specifica attenzione alla qualità dell’abitare).

È proprio in questo contesto socio-economico che ha trovato collocazione in Campania la legge regionale n. 5 del 2013, la quale, all’articolo 1, comma 65, si propone, appunto, di “favorire il raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 7 della legge regionale 28/12/2009, n. 19 (…)” mediante il recupero e l’utilizzo “degli immobili acquisiti al patrimonio dei comuni quali alloggi di edilizia residenziale pubblica e di edilizia residenziale sociale, in base alla legge 22/10/1971, n. 865”.

Tale legge – va detto – è tuttora vigente dopo che la Corte costituzionale, con sentenza n. 7 del febbraio 2023, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata, in relazione a presunti vizi della normativa, dalla Corte di appello di Napoli.

Non va dimenticato, infine, che il Consiglio di Stato, con una sentenza del 2017, ha ritenuto legittima la scelta “conservativa” della acquisizione, seppure con specifico riferimento all’articolo 31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001, definendo tale norma quale “strumento sostanziale di redenzione della colpa.

Ciò perché:

L’art. 31, comma 5, a chiusura di un articolato sistema sanzionatorio suscettibile di operare a fronte di edificazioni non legittime e non altrimenti recuperabili alla legittimità a favore dei privati – offre palesemente una via di uscita (consentendo, di fatto, alla mano pubblica ciò che non è permesso alla parte privata) rispetto alla soluzione finale della demolizione dell’edificazione abusiva, permettendo che – questa volta in mano pubblica – l’edificazione non legittima resti pur sempre in situ (…).

In un ordinamento nel quale la non consumazione del territorio, specie mediante edificazioni non legittime, costituisse valore assoluto, o, quanto meno, di grado sufficientemente elevato, quella norma non avrebbe motivo di essere, posto che allora la reintegrazione del territorio – mediante eliminazione di quanto l’ha non correttamente consumato – dovrebbe da esso essere pretesa senza eccezioni per alcuno.

Non così nel nostro, all’evidenza, dove invece quella norma funge da strumento di sostanziale redenzione della colpa (costituita dall’avvenuta edificazione non legittima), con l’unica attenuante data dal fatto che il perdono (a livello sostanziale ed oggettivo) non si risolva in vantaggio del singolo, autore della colpa, bensì dell’intera collettività”.

Vedremo se il Governo o il Parlamento farà, nel prossimo futuro, maggiore chiarezza sul tema, come da tutti auspicato, al fine di mettere, una volta per tutte, un punto fermo al dramma delle demolizioni senza criterio e a macchia di leopardo.

Il vantaggio certo per la collettività potrà certamente rappresentare, in tal caso, il giusto contrappeso, ovvero il prezzo per l’abuso commesso dal contravventore e, in definitiva, per quest’ultimo, lo strumento di redenzione della colpa addebitatagli in sede giudiziaria.

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