LA PROCESSIONE DI SAN VINCENZO. DI VINCENZO ACUNTO

Dalla raccolta de “I racconti sotto l’ombrellone” di Vincenzo Acunto, per concessione dell’autore, si pubblica.

La vita dei politici italiani, dal dopoguerra in poi, è sempre stata caratterizzata (anche nelle aree cosiddette rosse) dal mostrarsi a braccetto con i rappresentanti del Clero. Il politico locale e, all’occorrenza anche quello nazionale, non manca mai all’appuntamento con la processione per le strade del paese. L’intento, da un lato (chiesa), è di allontanare il maligno o le tentazioni perverse dalle case del popolo, dall’altro (politico) per conservare i consensi. Si organizza con ampio dispiego dei vessilli rappresentativi, equamente ripartiti: il Santissimo, le statue dei santi e il baldacchino processionale, da un lato; il sindaco, la fascia tricolore e la protezione militare, dall’altro. Ogni parrocchia organizza le sue processioni che, nell’anno solare, sono calendarizzate in due eventi: quello del corpus domini (miracolo di Bolsena) e quello per la ricorrenza onomastica del Santo Patrono.

Il Comune di Serrara Fontana, rispetto agli altri dell’isola d’Ischia, si caratterizza (non solo per avere i nomi delle due frazioni montane a identificare l’unità amministrativa), anche per il maggior numero di processioni che i preti, in perenne contrasto di leadership territoriale, organizzano per le vie del paese. Il prete di Serrara sostiene che rappresenta la frazione in cui ha sede il municipio, quello di Fontana che rappresenta la parrocchia più antica, quello di S. Angelo (che da 60 anni fa da compensatore defilato) che rappresenta quella turisticamente più evoluta. Oggi, i contrasti di supremazia, sia per evenienze   anagrafiche che per la opportuna destituzione di qualcun altro, si sono sostanzialmente sedati. Resta l’abitudine che, ad ogni processione, i preti delle tre parrocchie partecipano all’evento, consentendo “all’ospite” di portare il Santissimo. Il Sindaco e i suoi consiglieri sfilano al seguito, con l’abito della festa e con le coccarde del potere, contenti (forse è l’unica occasione) di avere al loro fianco due carabinieri. Altra particolarità Serrarese è che la festa del Santo Patrono Vincenzo (non si celebra con la ricorrenza onomastica del 5 aprile) è unita a quella della Madonna del Carmine (a cui è dedicata la parrocchia del luogo) e si celebra il 16 luglio. Giorno in cui, per le vie del paese vengono portate a spalla, da portantini improvvisati, le due statue oltre il Santissimo protetto in una teca d’oro e dal baldacchino processionale. Data la particolarità del percorso viario del paese (caratterizzato da salite ripide e discese), la processione viene sdoppiata in due giornate di sfilate. Un giorno in talune strade e il successivo in altre. In ogni caso è tenuto di conto che la strada Via Lorenzo Fiore, che dalla piazza di Serrara porta alla Piazzetta del Pantano (molto ripida), è percorsa in discesa, per non affaticare troppo i portatori delle statue, le autorità e il popolo. Il racconto di oggi viene fuori da una esperienza vissuta personalmente nel mese di luglio dell’anno 1992 e ripreso da un mio scritto dell’epoca. In tal periodo ricoprivo il ruolo di consigliere comunale a Serrara Fontana e da qualche mese, con un altro temerario, avevo abbandonato il gruppo di maggioranza e formato un gruppo autonomo di alternativa. Giunto il giorno dei festeggiamenti, venni sollecitato dal mio “amico di lotta politica” a partecipare alla processione del 16 luglio, con un diktat perentorio “se pensi che dobbiamo fare politica è necessario che ti fai vedere alla processione”. Nonostante fossi stato sempre alieno a tali manifestazioni, non potetti rifiutare. La partenza del corteo dalla chiesa, era annunciata, nel programma della festa, per le ore 19,30. Arrivo a Serrara dieci minuti prima, in contemporanea col Sindaco dell’epoca, Luigi Iacono, che con passo svelto andava verso la chiesa ove era atteso dal suo vice Tilde Trofa con la fascia tricolore da fargli indossare. All’altezza del “vecchio municipio”, vedemmo che il corteo era uscito in anticipo e, diversamente dal solito, aveva già imboccato Via Lorenzo Fiore, in salita. Era successo che il prete del posto aveva dato il via un quarto d’ora prima dell’ora stabilita, a nulla valendo le suppliche della Tilde di aspettare che giungesse il Sindaco. Allungato il passo, ci accodammo alla processione. Il Sindaco indossò la fascia, fra i mugugni dei consiglieri del posto, che gli contestavano il ritardo e le sue giustificazioni di essere in orario, secondo il programma. Avvertivo, nell’aria, che c’era qualcosa che non andava rispetto alle usanze. Mi sembrava che quel corteo avesse qualcosa di diverso dai soliti che erano organizzati con in testa lo “stendardo della chiesa”, i ragazzini attorno, poi la banda “ad aprire il percorso con le marcette musicali”, poi le statue dei Santi, il Santissimo portato dal prete sotto il baldacchino, scortato dalle autorità civili e militari ed a chiudere il popolo. In quella processione, invece, appena dopo lo stendardo c’era la banda, subito poi il popolo, poi le statue dei Santi e a chiudere “le autorità”. Chiesi a Tilde Trofa, che abitava nella frazione, se a Serrara vi fosse quell’abitudine organizzativa diversa dalle altre. Mi rispose che era la prima volta che notava una tale organizzazione del corteo e che Via Lorenzo Fiore fosse presa in salita e non in discesa. Dalle case uscivano i ritardatari che, come di solito, si accodavano al gruppo, dopo le autorità. Il prete, vigile come un furetto, appena si accorgeva di un nuovo arrivato, con voce stentoriale e senza indecisioni, gracchiava nel megafono: “Tutte le persone vadano avanti. Solo le autorità dietro le statue”. Dopo alcune sollecitazioni in tal senso, mi accorsi che l’anomalia, avvertita inizialmente, era voluta. Chiesi al Sindaco, con un pizzico di malizia, se avesse avuto qualche contrasto con il prete (che appariva alquanto stizzoso) e lui di rimando “non mi risulta, gli ho firmato pure un’autorizzazione edilizia”. La Tilde che non perdeva d’occhio, né d’orecchio, il suo sindaco e aveva ascoltato, intervenne: “eh ma quello voleva pure quell’altra…….”. E il Sindaco “se gli firmavo quell’altra andavo dritto in galera”. Al ché, con spietato ghigno ilare, dissi: “ecco la spiegazione. Non hai voluto rischiare la galera, patisci la gogna per ultimo posto dietro le statue e fai la strada in salita”. La Tilde e gli altri “capozziarono” in segno di assenso. La processione arrivò al Pantano, sempre sotto lo sguardo vigile del prete che non perdeva mai d’occhio il “gruppo delle autorità” richiamando immediatamente chi non rispettava la posizione, uscendo dalle case e si aggiungeva al corteo dopo le autorità. Da una casa esce tal Antonio, un mio amico, che in più di un’occasione aveva manifestato divergenze col prete, che incuriosito dalla mia insolita presenza, si avvicina, mi saluta e mi chiede “come mai ero li?. Al fine di evitargli di essere richiamato via megafono, gli dico di portarsi “avanti” perché il prete così vuole. Neanche finisco di dirglielo che il sacerdote grida nel megafono: “tutte le persone davanti, (e aumentando il tono) solo le autorità possono stare dietro le statue”. Poiché Antonio indugiava, il prete lo richiamò “Antonio vai avanti, solo le autorità devono stare dietro i Santi”. Antonio ignora l’invito del parroco ed io “Antonio vai davanti prima che ti richiami ancora”. Antonio mi risponde “Non’ ‘u da rett. Zi prevete ten’ a capa fresca e po’ cu’ mic’ sap’ ca nna spont’”. Meno di un attimo e il prete ancora via megafono “Antonio”, e poiché Antonio lo ignorava, accentuando il tono ripete “Antonio vai davanti ti ho detto che solo le autorità devono stare dietro le statue”. Antonio, sentendosi osservato da tutti, rivolto al prete che con l’indice proteso gli indicava dove andare “mo me rutt ‘u cazz vir e nun ce sfottere”.  Io, sbigottito per quanto stava accadendo, guardo la Tilde che con occhio furente guarda prima il parroco e poi Antonio e con voce da rimprovero “ma la vogliamo smettere o no”. E Antonio “ma pecché è colpa mia? Siete voi che avete fatto incazzare “u prevete”. La processione continua e sulla piazzetta del “Pantano” fa una sosta. C’è un banchetto improvvisato. Il prete annuncia, via megafono, “facciamo riposare i Santi”. Antonio è un po’ blasfemo e dice ad alta voce “comm’ si avesser’ cammenat a piedi. So chill’ che ‘e portano ncuollo che devono prendere fiato. E po’ nun capisc’ comm’ mai questa volta Via Lorenzo Fiore è stata fatta in salita”. Tilde guarda Antonio con severità e col dito sulla bocca lo invita a zittire (shss). Io colgo il momento per sfruculiare il sindaco “se gli firmavi quell’altra autorizzazione non avremmo fatto una sudata!!”. Da una casa del posto esce Lucia, con passo svelto, tira fuori la veletta nera per il capo. Va a prendere posizione nel corteo “dopo le autorità”, tutte accaldate, e la banda che era sfiatata. Lucia è un’amica, mi passa vicino e mi saluta. Gli dico immediatamente di portarsi dall’altro lato. E Lucia “come mai?” Non ho il tempo di rispondere che il megafono gracchia “Lucia vai davanti, solo le autorità dietro i Santi”. Lucia corre incredula, perde la veletta. Antonio, da gentiluomo, si lancia in soccorso e quasi si picchiano di testa. Si procede con la benedizione, l’attenti delle autorità civili, i colpi di tacco dei militari, gli scoppi della ditta “pescettone” e la banda, coprono appena in tempo un nuovo invito del prete a rispettare l’ordine. Incomincia ad imbrunire, il corteo svolta sulla statale, in discesa. Il passo è più veloce e non ci sono stazioni preparate. Giunti nei pressi delle “case popolari” di Serrara, sbuca dall’atrio Pompeo, operatore del cimitero e frequentatore della chiesa locale e, in un batti baleno, apre dinanzi alle statue un tavolino pieghevole. Rientra velocemente nell’atrio del palazzo e ne prende un secondo, che apre vicino al precedente. I portantini, conoscendo le tradizioni, sanno che lì non c’è mai stata una stazione di riposo; si guardano interrogandosi sul da fare. Il prete è attento. Dal megafono, con la sua voce stentorea, gracchia “Facciamo riposare i Santi che sono stanchi”.  Solita cerimonia, alzata del Santissimo, l’attenti, i fuochi e la banda. Nel trambusto mi rivolgo ad Antonio, che abita in quello stabile, e con tono di rimprovero gli dico “potevate preparare un tavolo un poco più decente e ornato come si fa in genere”. Antonio, stupito, “ma qua la processione non si è mai fermata, chissà che è successo”. Aggiunge pensieroso, “forse Assuntina non sta bene e non avrà preparato i tavolini come sempre fa”.  Il corteo riparte, fa la curva, 100 metri dopo le case popolari già si intravedono i tavolini che Assuntina ha preparato di tutto punto. Coperte, lenzuola ricamate, fiori ed immagini di santi. Il capo corteo sta per rifermarsi quando il prete, che va avanti e indietro per comandare la processione e non manca di manifestare il suo disappunto verso Antonio che è rimasto al mio fianco,  accortosi del rallentamento, imbraccia il megafono e con voce stentorea, a pochi metri da Assuntina, già pronta a vivere il suo momento di gloria, grida: “Non ci fermiamo a questa stazione, i santi hanno già riposato e non hanno bisogno. Andiamo”. E con la mano dà ordine al capo corteo di proseguire. Assuntina, sentendo quelle parole, trasforma il suo volto dalla pregressa gioia a come fosse stata colpita alla schiena da una pugnalata e, con gli occhi fuori dalle orbite, all’indirizzo del prete “com’ e litt? E sant hann già riposat. E vien nata vota a cercà solde ca….. te facci’ truvà pront’ stu’ ca….. (e gli fa il gesto dell’ombrello)”. Il sacerdote, che forse non si aspettava una simile reazione blasfema, imbraccia il megafono e, pur stonato come una campana, inizia a cantare un canto propiziatorio dal titolo “mira il tuo popolo o bella signora che pien di giubilo ti onora”. Ero piegato in due dal ridere. Anche il sindaco si mostrava perplesso e con la mano destra si strofinava il mento, mentre la sinistra gli teneva il gomito. La Tilde trasudava bile (forse anche per il mio atteggiamento sfottente, pronto a ripetere al sindaco “e tutto questo per una autorizzazione edilizia!”), spazientita e a voce alta grida “ma cheste so cos’e pazz, qua non si capisce più nulla”. Io sono costretto a fermarmi per riprendere fiato da una risata interminabile. Mi assiste Antonio che non mi aveva abbandonato. Il corteo scende al Latierno ove, nella piazzola del posto, era organizzata, tra le case, un’altra stazione. Il quartiere, particolarmente costipato da abitazioni, è affollato di persone che si univano alla processione ed erano raccolte per la benedizione. Il prete, dopo la sfuriata di Assuntina e la disubbidienza di Antonio, anche perché stanco, sembrava aver perso la baldanza iniziale e il controllo del corteo. Sono tutti raccolti intorno al Santissimo, sempre protetto dalle intemperie e dal disturbo del maligno, dal baldacchino processionale; il prete portatore della teca la alza al cielo e rotea a 360 gradi in un silenzio tombale. Sono tutti col capo chino a dir preghiere. Il mio occhio e orecchio (da curioso cronico) sono vigili anche per prevenire lo scoppio della botta. Dalla batteria di “pescettone”, con un attimo di anticipo, parte una botta secca. Un urlo sovrasta ogni altro rumore. Maria, una donna del posto, si mostra con il volto insanguinato. C’è chi grida al miracolo e chi, come me, pensando ad un malore provocato dallo scoppio grida “c’è un medico presente?”. Maria è stralunata, bianca in volto e con gli occhi fissi nel vuoto. A chi gli chiede cosa gli fosse successo dice che, una bambina, genuflessa innanzi a lei, allo scoppio del potente botto di “pescettone” ha uno scatto imprevisto e con la testa l’aveva colpita tra la bocca ed il naso facendogli perdere il respiro. Il prete recupera l’aplomb e dà ordine di proseguire verso via A. Mattera in salita. C’è un’altra stazione, come al solito, organizzata da Pierino un uomo del posto. Si ripete la scena di Assuntina, il prete dà ordine ai portantini di proseguire perché è tardi ed i Santi hanno già riposato. Pierino è impietrito, tende il braccio destro come un fucile lasciando aperte tre sole dita (il mignolo, l’anulare ed il medio) mentre l’indice e il pollice sono chiusi a cerchio, attraverso il quale, come da un mirino guarda con l’occhio sinistro tenendo chiuso il destro. Il sindaco è sempre più perplesso, io sempre più sfottente e la Tilde sempre più in preda ad una crisi di nervi. Giungiamo in chiesa. E’ tardi, i fuochi e la banda accompagnano l’ingresso dei Santi nella chiesa. Io ringrazio il mio amico Luigi per avermi “obbligato” ad andare alla processione. Da allora, ahimè, non ho più partecipato ad altre processioni di San Vincenzo, anche per aver terminato il mio percorso politico. Sicuramente mi sarò perso tanto per i miei racconti della vecchiaia. acuntovi@libero.it 

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