OMICIDIO E… OMICIDI (DI VINCENZO ACUNTO)

La parola mi ripugna anche se, a volte, i forti freni inibitori assestati in un’adolescenza assemblata nei valori della vita e delle persone (anche con sonori ceffoni), sembrano venir meno. Specialmente quando qualcuno mi inonda di una violenza psicologica, così grande come l’efferatezza degli ultimi eventi mi hanno procurato. Nel milanese, questa settimana, sono successi due eventi che testimoniano (se ce ne fosse ancora bisogno) come il modello educazionale giovanile, degli ultimi quarant’anni, è andato a farsi friggere e con esso anche il valore massimo della vita, che in ognuno di noi dovrebbe albergare “a prescindere da ogni altra cosa”.

Un idiota lucido e cosciente, con il rubinetto procreativo sempre aperto, dopo aver fatto un figlio con una ragazza, ne aveva ingravidato altre due (una l’aveva convinta ad abortire) e all’avvicinarsi del parto, scoperto nelle sue performance comportamentali e procreative, ha ritenuto di poter sopprimere una ragazza di 29 anni con il bimbo che portava in grembo prossimo a nascere. Un obbrobrio vomitevole dal quale “mi salvo” solo per non essere il padre di quella ragazza perché i miei freni, usurati dall’età, non avrebbero retto la reazione emotiva.

L’altro evento ha visto protagonista un sedicenne che, a scuola, ha ritenuto di accoltellare l’insegnante che l’aveva chiamato per un’interrogazione e, immaginando una possibile reazione dei compagni, li ha minacciati con una pistola che aveva portato con sé e che, grazie a Dio, è risultata finta. I due eventi manifestano la premeditazione dei protagonisti per la quale: il trentenne sarà indirizzato all’ergastolo e il sedicenne ad una comunità di recupero. Tra qualche giorno i media, dopo l’inondazione dei dettagli, spesso infarciti di considerazioni psicologiche o criminologiche, non ne parleranno più fino al prossimo evento e, il popolo, non impiegherà molto a voltare pagina, lasciando in una progressiva indifferenza i parenti condannati a scontare l’ergastolo del dolore. Di tanto in tanto ravvivato con qualche fiction o special televisivo, intervallata/o dalla onnipresente pubblicità. Mai che si ponga in discussione il fallimento del modello educazionale, sia familiare che scolastico, che normative, stimolate da particolari “maitre a penser”, hanno lasciato sviluppare nell’ultimo quarantennio. Per rendere chiaro quel che mi appresto a dire, racconto due piccoli eventi che, a distanza di anni, ancora mi lasciano interrogare se avessi o meno una “predisposizione a delinquere” che, oltre a pensare sia insita in ogni bambino

non ancora pronto a discernere il bene dal male, ritengo avrebbe potuto avere una evoluzione diversa da quella poi avutasi, se non fosse stata tempestivamente interdetta con interventi educazionali efficaci. Mia mamma mi raccontava che una delle mie sorelle non avendo gradito il mio arrivo non perdeva occasione per manifestare il suo dissenso (cullandomi in modo maldestro o mandandomi giù dalla culla). Avevo appena tre anni e a seguito di qualche screzio, ritenuto tale, afferrai un coltellino, del quale avevo evidentemente percepito la potenzialità offensiva, e prendendo la rincorsa lo infilai nella natica di mia sorella. Apriti cielo, ebbi una sculacciata robusta e le mie mani furono percosse da mamma con particolare determinazione obbligandomi a chiedere perdono a mia sorella. Da allora coltelli o altri elementi di offesa non hanno mai formato corredo della mia persona, che mamma controllava ciclicamente. Come di seguito è stato per i miei figli.  Andavo in quinta elementare e nel banco biposto mi ero accaparrato la posizione più vicina alla porta, dal cui vetro potevo guardare tutta la bellezza di S. Angelo e i primi turisti che in estate la raggiungevano. Era un posto invidiato, che il mio compagno di banco di tanto in tanto mi chiedeva offrendomi in cambio la possibilità di indossare il suo orologio da polso che solo lui, a quel tempo, possedeva. Un giorno, durante una momentanea assenza del maestro, andato al bagno, avevo sollecitato il mio amico a restituirmi il posto e questi tardava a farlo ridendomi in faccia. Sentendomi preso in giro, gli diedi uno spintone, che facendolo cadere nella porta, sfondò il vetro venendosi a trovare con la testa fuori con il vetro sopra il suo collo. Fortuna volle che stava già rientrando il maestro che con molta accortezza lo salvò. Messo in salvo il mio compagno, il maestro mi assestò due ceffoni che, uniti alla paura di quanto successo, mi fecero piangere davanti a tutti e, arrivato a casa, dovendo consegnare a mia madre l’invito a presentarsi a scuola, fui costretto a confessare l’accaduto. Patii un paliatone significativo e il giorno dopo in classe, la mamma chiese scusa al maestro, si impegnò a far sostituire il vetro (che per le finanze di famiglia diventava una imprevista spesa extra) e, passandomi vicino, mi rifilò un altro schiaffone per il quale patii sberleffi dai compagni per una settimana. Da quel giorno mai più mi sono azzardato a commettere gesti inconsulti nei confronti di un mio simile e ritengo di essere cresciuto senza complessi psicologici o remore di sorta. Tanto io quanto le mie sorelle, che mamma controllava con garbo militaresco in quanto essendo molto belle, c’erano parecchi vesponi in agguato per pungerle. Se un fatto del genere si fosse verificato oggi, il maestro sarebbe stato sospeso patendo conseguenze gravi e mia madre sarebbe stata imputata e forse anche condannata per “abuso dei mezzi di correzione”. Reato che, partorito in contesti culturali e sociali che poco si discostavano dal mondo animale, è stato poi utilizzato quale deterrente per situazioni, anni luce distanti, dagli habitat vessatori che stimolarono il “colto legislatore” a prevedere una simile ipotesi criminosa. I mutati “sistemi educazionali” sviluppatisi intorno al concetto di “offrire al bambino di manifestare in libertà cioè che è”, hanno purtroppo prodotto, su scale distorte e mai interrotte, le seguenti conseguenze: se oggi il bambino torna a casa e comunica che è stato sgridato per qualche intemperanza, il genitore si presenta a scuola e minaccia l’insegnante o addirittura l’aspetta in strada per picchiarlo e raramente il carcere ha accompagnato, nell’immediatezza, simili eventi. Al pronto soccorso, se il paziente ritiene che non sta ricevendo soddisfacente assistenza si picchia il medico e si scassa tutto. E manco qui l’arresto con soggiorno obbligato è stato il segno reattivo dello Stato. Infiniti stanno diventando i casi di soggetti che uscendo con una ragazza e questa non ci sta la si violenta o addirittura la sopprime. Se la moglie si invaghisce di un altro la si uccide. Se il figlio piange troppo lo si butta dal balcone o, se la mamma deve andare a fare sesso col compagno, lo si chiude in casa per una settimana trovandolo poi cadavere. Cose inenarrabili, che purtroppo la cronaca ci consegna e che fanno rabbrividire. Mi chiedo “se è vero che la libertà dell’individuo è un principio fondante dell’esistenza e che la stessa, per essere vera, resta legata ai principi morali, è possibile lasciare ulteriore spazio a fenomeni di tale gravità senza fare nulla?”. Personalmente non ritengo che il solo un inasprimento delle pene carcerarie costituirebbe il deterrente idoneo a spingere l’essere umano a rientrare in quella fascia di vita che lo distingua dalla bestia. Costituisce, purtroppo, un dato di fatto che il carcere non scoraggia chi non ci è stato, spesso stimola ancor di più chi già ci è stato in quanto, quasi sempre, non è idoneo a redimere (spesso, chi ci è stato, esce più delinquenti di prima). Provo ad azzardare, ben conscio di essere pregno di amarezza per gli eventi ultimi. Considerato che oggi si vive nella società dell’immagine e solo ciò che appare viene considerato per vero, sarebbe un sacrilegio pensare a forme di espiazione che vadano un tantino oltre il semplice soggiorno forzato, facendo rivivere ai responsabili di fatti particolarmente efferati, esperienze lavorative non scelte ma obbligate o dobbiamo continuare a dire che sarebbero torture che uno stato democratico non può permettersi continuando a filosofeggiare tra ergastolo ostativo e non ostativo? Ad esempio, chi non pensa che se quel “nicchinello” che ha ucciso quella ragazza con il figlio in grembo fosse trasferito tutti i giorni in catene da S.Vittore alla stazione di Milano (noto parterre di insicurezza criminale) a pulire i cessi tra il ludibrio dei passanti, non sarebbe di insegnamento per chi sta lì pronto a commettere un reato? Chi non pensa che è giunta l’ora di riportare la famiglia al centro del dibattito politico e sociale del paese, restituendo, nei fatti, ai genitori quel compito primario che la costituzione assegna loro? Non solo agevolandoli con misure economiche e di tutela ma anche istituendo sentinelle di verifica dei comportamenti dei singoli (non come è successo a Bibbiano in un recente passato) nelle varie allocazioni (famiglia, scuola, società). Forse i malesseri che i ragazzi e/o le loro famiglie patiscono sarebbero scoperti per tempo correggendo devianze educazionali e familiari allo scopo di contribuire a realizzare quella corretta “società naturale” che la costituzione riconosce ma che, purtroppo, sembra essere sfuggita di mano a tanti. acuntovi@libero.it

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