L’apertura dei notiziari giornalieri è pregna di fatti di cronaca di una efferatezza così grave da non consentire alla mente nemmeno di chiedersi “perchè?”.
Ho seguito l’omelia del cardinale di Milano Mons. Delphini, pronunciata al rito funebre della famiglia di Paderno Dugnano, a nord di Milano e sono rimasto attonito per la vuotezza delle parole usate a fronte di un eccidio così grave, quanto inspiegabile, del quale non si riesce a trovare o comprendere la matrice propulsiva.
A Parma, Chiara Petrolini, 22 anni, studentessa universitaria, partorisce, in anni diversi, due figli che uccide e seppellisce nelle aiuole del giardino di casa, dopo aver vissuto entrambe le gravidanze (con parto finale) senza che nessuno se ne accorgesse!!- Nel Bergamasco, una ragazza esce di casa per fare una passeggiata, a sera tarda, e si trova di fronte un balordo che, senza profferir parola, estrae il coltello e la uccide. Come tante altre donne che, quotidianamente, vengono uccise dai loro compagni, che non si rassegnano per essere stati lasciati. Seguo con attenzione i tanti talk show che sui vari casi si organizzano. Tutti tesi a far risaltare “premeditazioni o patologie psichiatriche”, nel responsabile, trasferendo, sul piccolo schermo, un’anticipazione di quello che potrà poi essere lo sviluppo del processo che sicuramente patirà il condizionamento dei tanti esperti che si alternano ai vari microfoni. A conferma che in Italia non c’è tragedia che non diventi spettacolo se non farsa. Martedì è incominciato il processo a Filippo Turetta (quell’altro disgraziato che uccise la fidanzatina che aveva manifestato intenzione di lasciarlo) e, nonostante la confessione, i media erano schierati in quantità sostenuta. Mentre scrivo, continuo a domandarmi “perché succede tutto ciò?”. E, mentre mi interrogo, mi torna in mente l’espressione del noto psichiatra Paolo Crepet secondo il quale “ai giovani di oggi manca un’anima. Ed i genitori nulla fanno per fargliela sviluppare. Ogni richiesta dei figli resta un obbligo da adempiere!”. Concordo in pieno avendo, da figlio, patito tanti no dai miei genitori e poi da padre imposto più di qualche rinuncia ai miei figli. I risultati sono all’evidenza di tutti, senza bisogno di analisti particolari. Facendo un parallelismo tra la mia infanzia (segnata da tante privazioni) e quella dei ragazzi di oggi, annoto che solo le famiglie cosiddette “agiate” riuscivano a comprare giocattoli ai loro figli. Quelli delle famiglie meno agiate, i giochi se li inventavano, costruendo in proprio gli strumenti che lo consentivano. Due esempi tra chi viveva in campagna e chi, invece, al mare. Quelli che vivevano in campagna erano esperti nella “caccia alla lucertola” che catturavano utilizzando un filo d‘erba che, crescendo più lungo, consentiva di creare l’arma – “il chiappo”. Quelli che vivevano al mare si industriavano nella cattura di piccoli granchi per poi metterli in competizione tra di loro con pseudo corse sull’asciutto. Crudeltà entrambe che ci consentono di notare che, da sempre, l’uomo ha in sé un piccolo patrimonio di violenza che indirizza o spegne a seconda degli interventi dei genitori. Non sempre, infatti, i giochi erano approvati dai nostri genitori, specie quando essi mostravano un accanimento sospetto verso qualche animaletto in particolare. Che cosa è successo negli ultimi decenni di vita nella nostra società, che sta facendo perdere l’anima a tanti che scivolano, con sempre maggior facilità, verso episodi di violenza? Non è facile. Per deformazione professionale dico che uno dei primi elementi da dover prendere in considerazione è “il mancato rispetto delle regole”. Già nel regno di Numa Pompilio (uno dei sette re di Roma) che regnò dal 754 a.c. per 42 anni, si avvertì la necessità di darsi delle regole per poter avere una vita “regolare” e non correre il rischio di essere ammazzato senza ragione e senza pena per l’esecutore. Venendo ai giorni nostri, posso con una certa sicurezza dire che, da quando il paese ha smarrito la certezza della regola e della relativa sanzione applicata, gli episodi di violenza sono cresciuti in modo esponenziale. A tale condizione, se aggiungiamo gli effetti deleteri che i media (che operano fuor di regola) apportano sia nel mondo dei bambini che degli adulti riusciamo, forse, a trovare qualche elemento che ci aiuta a comprendere. Rapportandomi a eventi sui quali posso argomentare, il primo raffronto lo faccio prendendo come riferimento le famiglie del mio paese dal 1950 in poi, nel quale è facile fare dei paragoni e trovare delle differenze. I bambini hanno sostituito il filo d’erba per catturare le lucertole o il retino per i granchi con il “game boy” che trasmetteva (e credo trasmette ancora) solo gare violente con manifestazioni di uccisioni feroci a segnare la supremazia del vincitore nei confronti del rivale, con punteggio meritorio al protagonista vincitore. Poi è arrivato Internet, ove ogni interessato riversa quel che vuole, che, attraverso un collegamento telematico non controllato, consente a tutti di calarsi in una sorta di “pozzo di S. Patrizio” alla ricerca dell’argomento che “forma o riempie” quell’anima che il prof. Crepet ha accertato come pilastro mancante nei giovani di oggi. Una filmografia che la sera riempie le nostre case, con fiction violente, aiuta a completare e stimolare il quadro violento insito in ognuno di noi, suggerendo tecniche e modalità elusive di responsabilità. Poi è arrivato Whatsapp che, offerto con l’illusione di consentire di parlare a telefono gratis, s’è trasformato (per le necessità che taluni sistemi hanno di controllare il popolo o alla delinquenza di fare loschi affari) in uno strumento che consente di trasferire dati, immagini, filmati etc etc. rendendo la vita di tutti noi esposta alla curiosità morbosa di chiunque. Mi chiedo spesso “ma perché questi sistemi non possono essere sottoposti a regole di attivazione e funzionalità che vanno dalla impossibilità di potervi accedere senza una identificazione certa; al deposito di una foto identificativa (del tipo foto tessera) senza consentire il trasferimento di altre foto o filmati visto che spesso sono a contenuto di violenza o di provocazione? Chi gira in rete si imbatte, spesso, in foto di donne che mettono in risalto natiche e decolté che sono, pur sempre, argomenti propositivi di sé e dello scopo per il quale si è in rete. Requisiti che andrebbero esaltati in una camera da letto e non su circuiti di massa che stimolano più pensieri (tra cui quello della violenza) sul proponente. Non ci può essere un algoritmo che impedisca tutto ciò? Si eviterebbero forme istigative di violenza che, sempre più spesso, sfociano in eventi criminali. Io penso di si! Non si può più accettare che, per consentire il business di qualcuno siano sempre i più deboli a doverne rispondere. Ho provato spesso a immaginare la reazione mentale dell’uomo che vive e si adopera per la famiglia e per la moglie che mentre è al lavoro (semplifico ovviamente) un collega gli mostra una o più foto della moglie sui social, in pose osé, che manifestano indubbiamente qualche aspirazione particolare! E’ proprio necessario far sapere al mondo dei propri desideri sessuali? Le corna si son sempre fatte e non credo che vi sia la necessità di doverle rendere pubbliche. Sia che è vero, sia che non lo è! Basterebbe quindi una legge, con pene severe, che regolamenti ogni settore della vita tra le persone in quanto, come comprese già Numa Pompilio nel 754 A.C., una vita senza regole conduce solo all’annientamento della vita stessa. Disciplinare i social è diventato un’urgenza di prim’ordine anche allo scopo di restituire alle famiglie quelle possibilità educative che un tempo consentivano ai genitori di aiutare i propri figli a formarsi un’anima. E che la smettessero certi giudici di contestare il reato di “abuso dei mezzi di educazione” verso quei genitori che impediscono ai figli (che fanno abuso di sostante o alcol) di uscire la sera sapendo che vanno a frequentare luoghi ove si impongono certe regole di comportamento violento. Nella speranza di poter attenuare e addolcire certe caratterialità violente che una società deviata, come è diventata la nostra, sviluppa quotidianamente nei soggetti più deboli. Forse, se incominciamo a ragionare tutti insieme su cosa va impedito e corretto nella società che ci circonda, incominceremo a contare qualche morto in meno in quest’orgia di sangue che sembra abbia avviluppato ogni cosa. (acuntovi@libero.it)