Si chiude il sipario sul processo “Palamaro”. Nessun reato è stato riscontrato per il condono rilasciato. Il Tribunale di Napoli ha applicato la riforma “Nordio” sull’abuso d’ufficio ed ha assolto gli imputati tra cui l’ex capo dell’ufficio tecnico del comune di Barano, Enzo Ungaro, senza rimettere la questione alla Corte Costituzionale. Gli imputati, Palamaro Umberto, Marziano Vincenzo, Forio Mattia e Ungaro Crescenzo, erano difesi tutti dall’avv. Bruno Molinaro.
La questione non era scontata, in quanto da qualche giorno la stampa nazionale aveva reso noto che il Tribunale di Firenze, con una articolata ordinanza, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione alla c.d. riforma NORDIO di abrogazione del reato di abuso di ufficio (art. 323 c.p.), denunciando la contrarietà della legge alla Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 (Convenzione di Merida) contro la corruzione.
La scelta normativa – secondo il Tribunale di Firenze – non sembrerebbe nemmeno riconducibile ad un legittimo esercizio della discrezionalità del legislatore, anche alla luce del fatto che le ragioni poste a sostegno della spinta riformatrice (la c.d. “paura della firma” o “burocrazia difensiva“) sarebbero ormai venute meno a seguito degli ultimi interventi del legislatore.
Il Tribunale di Napoli è stato, invece, di diverso avviso e, con sentenza depositata pochi giorni or sono, in accoglimento di conforme richiesta del difensore avvocato Bruno Molinaro, ha assolto con la formula “il fatto non è più previsto dalla legge come reato” gli imputati Palamaro Umberto, Marziano Vincenzo, Forio Mattia e Ungaro Crescenzo, accusati del reato di abuso di ufficio in relazione al rilascio di un permesso in sanatoria e di un’autorizzazione paesaggistica del 2018 che, secondo il P.M., sarebbero stati rilasciati in carenza dei presupposti formali e sostanziali normativamente previsti per l’accesso al beneficio del condono.
Secondo il P.M., il titolo edilizio assentito sarebbe stato rilasciato in violazione di legge, fra cui l’art. 97 Cost., stante:- il difetto del requisito temporale; – il difetto del requisito volumetrico; – la realizzazione di nuovi interventi additivi rispetto alle opere oggetto di domanda di sanatoria; – il difetto di istruttoria e la mancata osservanza delle prescrizioni dettate dal Piano per la Valutazione di Compatibilità Paesaggistica.
La condotta degli imputati, inoltre, avrebbe determinato, sempre secondo il P.M., anche un danno ingiusto all’ente locale, essendo stata accertata la inottemperanza a precedenti ordinanze di demolizione, con conseguente acquisizione delle opere al patrimonio comunale e carenza di legittimazione del richiedente.
L’avvocato Molinaro – di contro – aveva sostenuto, in varie memorie difensive, sin dall’udienza preliminare, l’assoluta infondatezza della tesi accusatoria, non risultando provata né l’illegittimità della condotta né l’intenzionalità né l’evento dell’ingiusto vantaggio per il beneficiario.
Secondo il difensore, infatti, per la normativa condonistica è sufficiente, ai fini della concedibilità della sanatoria, la ultimazione al rustico dell’opera e non anche la realizzazione delle finiture (richiesta, invece, per la sanatoria del mutamento di destinazione d’uso, per il quale è necessario dimostrare l’avvenuto “completamento funzionale” delle opere entro il limite temporale di condonabilità).
Nel caso in esame, risultava, peraltro, accertato che il fabbricato era già completo di perimetrali e copertura fin dal 31 dicembre 1993, atteso che, alla data del 19 febbraio 1994, il solaio risultava già spuntellato.
Le nuove opere contestate non avevano – d’altronde – né inciso né mutato in alcun modo l’identità delle opere preesistenti oggetto della istanza di condono, essendo le stesse agevolmente individuabili per loro natura e caratteristiche qualitative e dimensionali.
Inoltre, era stata dimostrata anche la piena conformità delle opere oggetto dell’istanza di condono edilizio alle prescrizioni dettate dal Piano per la Valutazione di Compatibilità Paesaggistica, correttamente accertata anche dalla Commissione Locale per il Paesaggio.
Il piccolo fabbricato era, infatti, costituito da un unico piano fuori terra e non aveva comportato sopraelevazione di alcun preesistente fabbricato; presentava copertura piana e non a falde; era inserito in un’area caratterizzata dalla presenza di edilizia sparsa, per cui non aveva comportato pregiudizio alcuno per la salvaguardia delle aree agricole residuali e delle pratiche colturali tradizionali.
La legittimità del titolo abilitativo era stata, infine, confermata anche da una sentenza del T.A.R. Campania-Napoli del 23 giugno 2022.
Quanto alla ritenuta inottemperanza alle ordinanze di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi nn. 45/1994, 1998/1994 e 13/1999 e alla conseguente acquisizione delle opere al patrimonio comunale, la tesi del P.M. era del pari errata, in quanto le ordinanze di demolizione precedentemente adottate erano state private di efficacia dalla successiva presentazione della domanda di condono ed anche perché l’art. 39, comma 19, della legge n. 724/94 prevede che “per le opere abusive divenute sanabili in forza della presente legge, il proprietario che ha adempiuto agli oneri previsti per la sanatoria ha il diritto di ottenere l’annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell’area di sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in attuazione dell’articolo 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare dietro esibizione di certificazione comunale attestante l’avvenuta presentazione della domanda di sanatoria”.
Queste in sintesi le prospettazioni delle parti, sulle quali, però, il Tribunale non ha preso posizione, essendosi limitato, come traspare dalla sentenza, succintamente motivata, ad applicare la nuova normativa, senza sollevare alcuna questione di legittimità costituzionale.